Donald Trump è il grande trionfatore del super-martedì delle primarie Repubblicane, il magnate del settore immobiliare incamera un nuovo consistente numero di delegati in proiezione Convention. Allo stato attuale, il Grand Old Party, oggettivamente non sembra presentare nessun candidato di spessore da poter frapporre a quello che sino a poche settimane addietro appariva come un semplice outsider. Per quanto fosse ritenuto insidioso e capace di successi iniziali, valutati inizialmente effimeri.
La realtà, numeri alla mano, appare ben altra: Vermont, Arkansas, Massachusetts, Virginia, Goergia, Alabama, Tennessee. Tutti stati nei quali Trump ha sbaragliato la concorrenza.
Per Ted Cruz e Marco Rubio, gli unici sfidanti di peso ancora rimasti in gara, solo le briciole. A meno di qualche colpo di scena, al momento difficilmente prevedibile, il vantaggio accumulato da Donald Trump sarà difficilmente colmabile, non certamente da qualcuno degli sfidanti attuali.
Il Partito Repubblicano si interroga su ciò che sta accadendo negli ultimi mesi. Il successo di Donald Trump avrebbe radici profonde.
Non è solo per la mancanza di avversari di forte presa sull’elettorato conservatore, non è solo per il voto di protesta o per un senso di disorientamento degli elettori del Partito Repubblicano. Il fenomeno Donald Trump appare semmai il prodotto, l’estensione concreta, di un profondo mutamento avvenuto in seno al ‘GOP’, a cominciare dalla sua base. Gli anni dell’amministrazione Obama, più probabilmente già alla fine del secondo mandato di George W.Bush, hanno modificato aspettative e esigenze della base elettorale. In misura talmente marcata ma non sufficientemente avvertita dai vertici del partito.
Nel 2008, in molti lo hanno dimenticato, il candidato del GOP fu John McCain, conservatore atipico, con idee non allineate e per nulla omologabile al politico classico del ‘GOP’.
Sintomo evidente di come, già nel 2008, la base elettorale del Grand Old Party avvertisse l’esigenza di rompere con una certa tradizione ideologica e schematica. Con Donald Trump, oggettivamente, si è andati oltre: per il momento latitano i grandi sponsor, nessun endorsment di prestigio. Tantomeno dagli ambienti finanziari e dell’imprenditoria ‘High Class’. I grandi manager e imprenditori sembrano non amare il loro collega. Questi ultimi, a novembre, potrebbero dirottare preferenze ed appoggi su un moderato indipendente, Michael Bloomberg ad esempio.