L’obesità risulta particolarmene influenzata dal nostro patrimonio genetico. Non vuole certo essere una tesi deresponsabilizzante, ma questa è la conclusione a cui sono giunti i ricercatori svedesi in un nuovo studio presentato al 50esimo meeting annuale dell’Easd (European Association fotr The Study of Diabetes).
Gli studiosi hanno preso in considerazione il ruolo delle varianti genomiche sull’indice di massa corporea (BMI) in diverse fassce d’età ( 20, 58 e 73 anni) in un campione di oltre 21mila soggetti tendenti ad avere problemi di peso. Dalla ricerca è emerso che la tendenza a riscontrare significativi aumenti di peso andava correlata con la presenza di 31 alterazioni presenti nel Dna dei soggetti presi in esame. Tuttavia le varianti genomiche associate a un aumento di peso in età giovanile col passare degli anni producono un effetto opposto, ovvero in età senile questi stessi soggetti tendono a perdere peso.
I ricercatori però evidenziano che questa predisposizione genetica non vale da sola a rendere conto dell’obesità, che è una patologia multifattoriale e che si può contrastare con uno stile di vita basato su una corretta alimentazione e la pratica di attività fisica.
Insomma da questi varianti genetiche non deriva nessuna condanna all’obesità ma solo un tratto predisponente a metter su peso che potrebbe manifestarsi o meno sulla base di probabilità statistiche.