Per il referendum costituzionale si voterà il 4 dicembre prossimo dalle 7 alle 23. Gli italiani saranno chiamati a votare al referedum per esprimere il proprio consenso o dissenso in merito alla riforma della costituzione approvata dal governo. Nota anche come Legge Boschi in quanto la ministra per le riforme costituzionali Maria Elena Boschi l’ha firmata assieme al presidente del consiglio Matteo Renzi.
Tale legge fin dalla approvazione definitiva del ddl Renzi-Boschi del 12 aprile scorso, quando la Camera ha dato il suo via libera al testo con 361 voti a favore, 7 contrari e 2 astenuti, ha suscitato un accesso dibattito tra costituzionalisti e non solo.
Trattandosi di una legge che va a modificare l’impianto costituzionale, sulla stessa deve pronunciarsi anche il corpo elettorale, come previsto dall’articolo 138 della carta costituzionale che regola tale procedura. Ricordiamo anche che in caso di referendum costituzionale, a differenza di quello abrogativo, non si prevede alcun quorum, per cui il risultato sarà valido indipendentemente dal numero delle persone che voteranno.
Le ragioni del sì
Si supera il bicameralismo perfetto e quindi una legge per essere approvata non dovrà fare più la spola tra la Camera e il Senato. L’Italia cesserà di essere l’unico paese europeo in cui il Parlamento è composto da due camere eguali, con gli stessi poteri e praticamente la stessa composizione.
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Troppo spesso i cittadini hanno atteso per anni riforme e risposte concrete, che sembravano non arrivare mai. Se vincerà il Sì, finalmente le proposte di legge non dovranno più pendolare tra Camera e Senato, nella speranza che prima o poi si arrivi ad un testo condiviso fino alle virgole.
Ridurre i costi della politica
Verrà ridotto il numero dei parlamentari, perché i senatori elettivi passeranno da 315 a 95 (più 5 di nomina del Presidente della Repubblica) e non percepiranno indennità; il CNEL verrà abolito, e con esso i suoi 65 membri; i consiglieri regionali non potranno percepire un’indennità più alta di quella del sindaco del capoluogo di regione e i gruppi regionali non avranno più il finanziamento pubblico; le province saranno eliminate dalla Costituzione.
Maggiore partecipazione dei cittadini
La democrazia non si riduce solo al momento del voto, ma è un insieme di strumenti nelle mani dei cittadini per esprimere idee, proposte e bisogni. Con la riforma, la democrazia italiana diverrà autenticamente partecipativa: il Parlamento avrà l’obbligo di discutere e deliberare sui disegni di legge di iniziativa popolare proposti da 150mila elettori; saranno introdotti i referendum propositivi e d’indirizzo; si abbassa il quorum per la validità dei referendum abrogativi (se richiesti da ottocentomila elettori, non sarà più necessario il voto del 50 per cento degli aventi diritto, ma sarà sufficiente la metà più uno dei votanti alle precedenti elezioni politiche).
La ridefinizione delle competenze tra StaTo e Regioni
La riforma chiarirà e semplificherà il rapporto tra Stato e Regioni: con l’eliminazione delle cosiddette “competenze concorrenti”, ogni livello di governo avrà le proprie funzioni legislative. Si eviterà finalmente la confusione e la conflittualità tra Stato e Regioni che ha ingolfato negli scorsi 15 anni il lavoro della Corte Costituzionale.
Per aumentare la rappresentanza degli enti locali in parlamento e in Europa
Il Senato diverrà finalmente il luogo della rappresentanza delle regioni e dei comuni, che potranno così intervenire direttamente nel procedimento legislativo attraverso i sindaci e i consiglieri che ne faranno parte. Per troppi anni, la loro limitata capacità di partecipazione alla formazione delle leggi dello Stato ha causato ritardi, conflitti e contenziosi. In più, il nuovo Senato dei sindaci e dei consiglieri sarà investito di una funzione molto importante: parteciperà alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea e ne verificherà l’impatto sui territori.
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